
L’identità visiva di INEQUALITIES doveva esprimere in modo coinvolgente il tema dell’esposizione e la visione del presidente di Triennale, Stefano Boeri; attirare un pubblico eterogeneo, composto da visitatori locali e internazionali; adattarsi facilmente ai diversi formati, dai giganteschi cartelloni pubblicitari agli schermi degli smartphone. Un brief complesso che PENTAGRAM ha accettato e tradotto in una realtà visiva significativa.
Si è svolta il 12 maggio 2025 la cerimonia inaugurale della 24ª Esposizione Internazionale di Triennale Milano, intitolata Inequalities che apre il 13 maggio al pubblico fino al 9 novembre 2025. La cerimonia è stata aperta dal messaggio di Antonio Tajani, vicepresidente del Consiglio dei ministri e Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, dai saluti istituzionali di Alessandro Giuli, Ministro della Cultura, Attilio Fontana, Presidente della Regione Lombardia, Giuseppe Sala, Sindaco di Milano, Dimitri Kerkentzes, Segretario Generale del Bureau International des Expositions (BIE), Donatella Sciuto, Rettrice del Politecnico di Milano. Sono poi intervenuti il Premio Nobel per l’economia Michael Spence con una lecture sul tema delle diseguaglianze, Iñaqui Carnicero, Segretario generale per l’Agenda urbana, gli alloggi e l’architettura del Governo spagnolo, in dialogo con Stefano Boeri, oltre a tutti i protagonisti e le protagoniste di Inequalites. Sono stati inoltre assegnati i Bee Awards. In platea erano presenti diverse figure istituzionali di rilevo, tra cui David Kašpar, Vice Ministro della cultura della Repubblica Ceca, HE Sheikha Al Mayassa bint Hamad Al Thani, Chairperson del Qatar Museums, Federico Mollicone, Presidente Commissione Cultura Camera dei deputati.
INEQUALITIES
All’inizio non appare nulla: un vuoto indistinto, dalla forma e dai volumi indefiniti, vacuo quanto un buco nero. All’improvviso, una raffica di quadrati e rettangoli colorati invade la scena, moltiplicandosi a intermittenza, come una versione grafica del test di Rorschach. Cosa stiamo guardando in realtà? Una figura scomposta in pixel? Un paesaggio urbano frammentato? O è una semplice astrazione priva di significato? Una riga di testo, che compare come in un battito meccanico, ci offre un indizio: “Il 30% della popolazione mondiale è esposta a condizioni climatiche estreme”.
Quando Triennale Milano ha invitato lo studio di graphic design Pentagram a collaborare all’identità visiva della 24a Esposizione Internazionale, era difficile immaginare che avessero in mente una cosa simile. Il senso comune suggerisce che un’identità visiva, per avere successo, debba essere stabile, con un set coerente di elementi grafici e una comunicazione chiara applicata ovunque. Per le esposizioni, in particolare, generalmente bastano un semplice espediente visuale e una fotografia accattivante a creare interesse e attirare visitatori.
Quest’anno, però, con Inequalities, il tema dell’esposizione è incentrato sulle disuguaglianze, quindi vale esattamente il contrario. Per comprendere appieno l’audacia dell’approccio di Pentagram, è utile considerare il contesto più ampio. Per qualsiasi designer, avere l’opportunità di contribuire all’identità visiva dell’Esposizione Internazionale è un incarico da sogno. È stato così anche per Pentagram. Si trattava di una sfida particolarmente entusiasmante e impegnativa, con un mandato chiaro: l’identità doveva esprimere in modo coinvolgente il tema dell’esposizione e la visione del presidente di Triennale, Stefano Boeri; attirare un pubblico eterogeneo, composto da visitatori locali e internazionali; adattarsi facilmente ai diversi formati, dai giganteschi cartelloni pubblicitari agli schermi degli smartphone. Andava poi tenuto in considerazione un quarto fattore, non dichiarato: l’eredità stessa di Triennale.
Fin dal 1923, l’Esposizione Internazionale ha presentato al mondo il meglio dell’arte, dell’architettura e del design, con identità grafiche e sistemi visivi unici, creati negli anni da esponenti di punta della grafica modernista europea del Ventesimo secolo, tra cui Max Huber, Massimo Vignelli e Bob Noorda. Triennale ha mantenuto questi standard anche nel Ventunesimo secolo, introducendo un tono più eclettico e polifonico, grazie al contributo di designer come l’ucraina Anna Kulachek, lo studio americano 2×4 e l’italiano CamuffoLab.
L’edizione del 2025 chiude questo recente capitolo di storia di Triennale con Inequalities, ultimo episodio di una trilogia iniziata nel 2019 con Broken Nature e proseguita nel 2022 con Unknown Unknowns. Come per le edizioni precedenti, il tema di quest’anno – le disuguaglianze – è di enorme portata e di estrema attualità, così importante da imporre una sfida concettuale fondamentale. Quando si tratta di comunicare le disuguaglianze, le solite scorciatoie grafiche sembrano deboli rispetto al flusso incessante di testi e immagini che popolano il web e i notiziari. Le metafore visive più ovvie, come il simbolo matematico “≠” o una bilancia dolorosamente inclinata da un lato, descrivono una disparità binaria, una divisione netta tra chi ha e chi non ha. Forse una rappresentazione visiva più adeguata potrebbe essere il nodo gordiano: un groviglio confuso di condizioni interconnesse che coinvolgono persone e luoghi reali lungo un continuum in costante mutamento di contesti sociali, politici e ambientali.
COME RAPPRESENTARE TUTTO QUESTO?
Come può un sistema di identità visiva catturare un argomento con una tale labirintica complessità attraverso i soli strumenti semiotici a disposizione di un designer, quali la forma, il colore e la tipografia? E come può rendere la complessità leggibile a tutti senza privarla della sua urgenza morale? La risposta è arrivata dai dati. Guidato da Giorgia Lupi, partner di Pentagram ed esperta di data design, il team ha riconosciuto nei dati la chiave per sviluppare un approccio più narrativo e incentrato sull’uomo, capace di rappresentare le disuguaglianze, grandi e piccole, con una grafica che, visto il tema, doveva essere imprescindibilmente pragmatica. Il primo passo è stato analizzare insiemi di dati in grado di descrivere le disuguaglianze secondo molteplici parametri, tra cui aspettativa di vita, prosperità economica, livello di istruzione, cambiamenti climatici, guerra, violenza, partecipazione democratica. Questi dati hanno costituito la base narrativa del sistema grafico, alimentando un visualizzatore su misura che ha tradotto i numeri in pattern reticolari unici. E, per quanto richiamino i dipinti di De Stijl o la celebre architettura razionalista milanese, questi pattern non sono né decorativi né astratti: sono grafici ad albero. Una tipologia di visualizzazione dei dati che rappresenta i valori numerici attraverso la suddivisione proporzionale dello spazio. Il sistema si basa su una logica costante: un campo nero rappresenta un valore intero, mentre i blocchi colorati sovrapposti indicano la relativa quota di quel valore.
COME SI PRESENTA L’UGUAGLIANZA? COME LA MISURIAMO? DOVE E’ VISIBILE IL PROGRESSO?
I pattern sono uno strumento grafico semplice, ma – come ha scoperto il team di Pentagram – possono generare risultati concettualmente profondi a seconda dei dati utilizzati per generarli. Uno sfondo quasi interamente coperto di quadrati verdi potrebbe rappresentare il progresso globale, come visualizzazione dei dati riguardo alla crescente quantità di spazi verdi a disposizione dei cittadini di un determinato Paese, ma, allo stesso modo, una composizione simile potrebbe rappresentare l’aumento dell’inquinamento, delle inondazioni, delle migrazioni climatiche o di molte altre crisi planetarie. Il team ha inoltre scoperto come i diversi livelli di scomposizione in pixel, da quelli finissimi a quelli più grossolani, possano giocare con le percezioni preesistenti su ogni tema e rivelare aspetti inattesi. Come si presenta l’uguaglianza? Come la misuriamo? Dove è visibile il progresso?
“Questi sono dati sgradevoli” afferma Lupi, riferendosi a quelli relativi alle più gravi disparità in materia di uguaglianza di genere e giustizia climatica. “Riguardano le persone, ma anche situazioni drammatiche e, si potrebbe dire, arbitrarie. Non volevamo sottrarci a questa realtà, ma non volevamo neanche dimenticare l’elemento umano”.
Negli ultimi vent’anni, Lupi e il suo team – prima con Accurat, la società di design e tecnologia di Milano di cui è cofondatrice, e ora con Pentagram di New York – hanno promosso una filosofia di “umanesimo dei dati” (data humanism), un modo di lavorare con informazioni quantitative e qualitative che enfatizza l’individualità, l’emozione e un livello di accuratezza artigianale raramente percepito nelle società tecnocratiche. “I dati rappresentano la vita reale” ha scritto Lupi nel “manifesto” del data humanism pubblicato da “Print Magazine” nel 2017 e accolto con grande entusiasmo. “Sono un’istantanea del mondo, proprio come una fotografia cattura un istante. I numeri sono sempre sostituti di qualcos’altro, un modo per rappresentare un punto di vista, anche se a volte ci si dimentica di questo” ha proseguito.
Guidato da questa filosofia, il team di Lupi ha sviluppato un approccio originale alla visualizzazione dei dati, evitando i soliti grafici a torta e gli istogrammi tipici dell’era di PowerPoint, a favore di linguaggi di rappresentazione completamente nuovi che mettono al centro le storie umane. La loro grafica spesso include forme organiche ed elementi disegnati a mano, strumenti che Lupi considera Triennale Milano fondamentali per contrastare la percezione dei dati come qualcosa di “freddo” generato dalle macchine.
Per il progetto di Triennale, il team ha approfondito un approccio di questo tipo, prima di stabilire che un’estetica più dura, quasi “brutalista”, fosse maggiormente efficace e versatile rispetto alle connotazioni squisitamente umane della scrittura a mano, del disegno stilizzato, della fotografia o delle metafore visive. Per la 24ª Esposizione Internazionale, l’identità visiva riflette l’esperienza di un visitatore al museo: la complessità e le sfumature si accumulano nel tempo, attraverso il confronto con il materiale esposto. A poco a poco, il quadro generale inizia a emergere, presentando le disuguaglianze in modo viscerale, crudo e immediato, proprio come fa l’uomo. Così facendo, il team ha portato il data humanism in un territorio nuovo e ancora più incisivo. È un’integrazione del corpus di lavori di Lupi, perfezionata per affrontare con lucidità e consapevolezza le questioni più urgenti della nostra epoca. L’approccio risulta particolarmente efficace quando i pattern geometrici vengono combinati con la fotografia. In movimento, il vuoto grafico piatto si scontra con la profondità spaziale del mondo reale. Accostati a ritratti o paesaggi, questi pattern evocano buchi o divari: cosa viene oscurato o del tutto eliminato?
“Una fotografia di forte impatto e un testo incisivo non sarebbero bastati. Volevamo progettare qualcosa che non fosse ovvio e che non si potesse ignorare” afferma Ed Ryan, senior designer del team.
Per questo motivo, le legende di ogni pattern sono volontariamente piccole e defilate, simili alle targhette che si trovano nei musei. Privati di un significato squisitamente didascalico, i pattern invitano a un’esplorazione curiosa e, si spera, a una riflessione personale. “Se le persone si fermano davanti a queste visualizzazioni e dedicano un po’ del loro tempo a decifrarle, allora possiamo considerarlo un successo” aggiunge Zach Scheinfeld, un altro designer del team.
IMMAGINI
Abbiamo riportato i tre messaggi centrali creati da PENTAGRAM ampiamente illustrati nel testo.
Tutte le altre immagini riproducono opere e allestimenti in esposizione: foto di ALESSANDRO SALETTA, AGNESE BEDINI,
PIERCARLO QUECCHIA : DSL STUDIO – C.TRIENNALE
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