
A Palazzo Reale di Milano la mostra multimediale di Fondazione Bracco svela cosa si nasconde dietro ai capolavori dell’arte del ‘400-‘700. Grazie alle più avanzate tecnologie, l’esposizione racconta il percorso creativo dei grandi maestri, dal pensiero iniziale dell’opera alla versione finale attraverso pentimenti, modifiche e rifacimenti
La mostra “Art from Inside. Capolavori svelati tra arte e scienza”, progetto culturale multidisciplinare ideato da Fondazione Bracco e presentato per la prima volta in un grande contesto espositivo come Palazzo Reale di Milano, a partire dal 9 ottobre 2025 fino al 6 gennaio 2026, propone al visitatore una domanda solo apparentemente semplice, ma che apre a un intero universo: cosa si cela dietro – e dentro – un’opera d’arte? Un mondo di ricerca, restauro, tutela e valorizzazione, aspetti fondamentali e spesso invisibili, su cui raramente il pubblico e invitato a riflettere.
La mostra è un progetto innovativo che coniuga arte, ricerca e alta divulgazione. Il progetto si avvale della consulenza scientifica del team coordinato da Isabella Castiglioni, Professoressa Ordinaria di Fisica Applicata presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, Direttore scientifico Centro Diagnostico Italiano-CDI, e dello storico dell’arte Stefano Zuffi. Il percorso accompagna il visitatore in un viaggio affascinante nell’arte tra Quattrocento e Settecento, svelando – grazie ad analisi diagnostiche non invasive e a riproduzioni in scala 1:1 – gli strati nascosti di nove capolavori, attraverso un racconto immersivo e multimediale. In questo dialogo tra arte e scienza, la tecnologia si fa strumento di lettura e meraviglia, permettendo di accedere a dimensioni normalmente non visibili.
Da Beato Angelico a Piero della Francesca, da Piero del Pollaiolo al leonardesco Giovanni Antonio Boltraffio, fino a Caravaggio, Giovanna Garzoni – artista tra le maggiori del suo secolo – e a un prezioso violino settecentesco di Lorenzo Storioni, l’esposizione propone un pantheon di maestri che hanno segnato la storia dell’arte italiana, ora indagati da una prospettiva inedita.
Grazie a un’accurata indagine scientifica, ogni opera rivela una “vita segreta”: decisioni nascoste, pentimenti, cambi di committenza, variazioni compositive e stratificazioni tecniche. Tutti elementi che sfuggono all’osservazione diretta, ma che emergono grazie al contributo delle più avanzate tecnologie diagnostiche. Dove si fermano gli occhi del restauratore e dello storico dell’arte interviene oggi la scienza – svelando cio che per secoli e rimasto celato sotto la superficie. Una radicale e avvincente immersione nel processo creativo degli artisti.
Fondazione Bracco, corporate foundation del Gruppo Bracco – azienda leader globale nel campo della diagnostica per immagini e dei mezzi di contrasto, da anni valorizza l’applicazione delle tecniche di imaging non invasivo allo studio e alla conservazione delle opere d’arte. Progetti di ricerca, convegni divulgativi, iniziative espositive di alto valore culturale – come questa mostra – testimoniano un impegno concreto a favore del connubio tra scienza e patrimonio storico-artistico.
La diagnostica per immagini, nata in ambito medico per analizzare lo stato di salute dell’organismo umano, e ormai riconosciuta come uno strumento prezioso di conoscenza anche in campo artistico. Le indagini scientifiche offrono infatti una straordinaria opportunità per comprendere in profondità le modalità operative degli artisti, le tecniche impiegate, i materiali utilizzati e le fasi di realizzazione delle opere. Questa mostra nasce proprio con l’obiettivo di raccontare al grande pubblico i progressi raggiunti da anni di studi diagnostici sostenuti da Fondazione Bracco.
Il percorso espositivo dimostra infatti come il lavoro congiunto tra esperti in medicina radiodiagnostica e specialisti in storia dell’arte e restauro possa offrire nuovi strumenti di lettura anche per capolavori apparentemente gia noti in ogni dettaglio. È un esempio concreto di interdisciplinarità applicata al patrimonio culturale.
IL PERCORSO DELLA MOSTRA
Il percorso della mostra – dopo un focus introduttivo – si snoda lungo otto sale multimediali, che analizzano altrettanti capolavori attraverso riproduzioni in scala 1:1 dell’originale.
“Questa è una mostra senza oggetti ‘fisici’ – ricorda lo storico dell’arte Stefano Zuffi – ma è una mostra che restituisce alle opere d’arte la loro essenza di oggetti materiali, con tutte le peculiarità e anche le problematiche degli oggetti fisici. La loro concretezza non toglie niente alla bellezza idealizzata dell’opera creativa del genio, ma non è eterna, deve essere tutelata, protetta, difesa. Le opere d’arte non sono immagini, sono oggetti”.
In quanto oggetto materiale, un’opera e una combinazione di particolari elementi che la rendono unica, e disegnata e dipinta con diversi pigmenti e leganti, ha uno specifico supporto, e realizzata con una determinata tecnica. L’opera d’arte e tale non solo nel risultato visibile e ammirabile da chi la osserva, ma anche perche il processo che ha portato al prodotto finale e il frutto di una conoscenza artistica e di una maestria tecnica, di competenze specialistiche. In un mondo fatto di pixel, ci stiamo fin troppo abituando a pensare all’opera d’arte solo come a un’immagine intangibile, quando invece questa e essenza fisica e materica inscindibile.
Si va dal preziosissimo mobile dipinto Primo scomparto dell’Armadio degli Argenti (1450 circa) del Beato Angelico al San Nicola da Tolentino (1469 circa) di Piero della Francesca, dal Ritratto di giovane donna (1470-75) di Piero del Pollaiolo alla Madonna della rosa (1490 circa) di Giovanni Antonio Boltraffio. Cento anni dopo Caravaggio dipinse La buona ventura (post luglio 1597) e Riposo durante la fuga in Egitto (primavera 1597), per poi arrivare ai due ritratti secenteschi di Giovanna Garzoni, Ritratto di Carlo Emanuele I di Savoia e Ritratto di Emanuele Filiberto di Savoia (1632-1637).
La scelta di utilizzare come immagine guida della mostra Ritratto di Carlo Emanuele I di Savoia, un dipinto ad opera di Giovanna Garzoni, una delle pochissime artiste affermate nel Seicento, e frutto di una decisione consapevole e programmatica. In un’epoca in cui la pittura era considerata una professione quasi esclusivamente maschile, l’artista riuscì con determinazione e talento a conquistare riconoscimento e committenze importanti.
LE TECNICHE DI IMAGING DIAGNOSTICO RACCONTATE IN MOSTRA.
La scelta operata da Bracco e raccontata in questa mostra e quella di spiegare al pubblico che esiste un approccio, tutto italiano, di diagnostica per immagini non invasiva – e gia ampiamente utilizzata quotidianamente in medicina sulle persone – che puo dare risultati straordinari anche se applicata sui dipinti, fornendo informazioni assolutamente complementari allo studio tradizionale delle opere d’arte effettuato dall’esperto e storico dell’arte. Le stesse tecniche diagnostiche sono spesso utilizzate in modo complementare tra di loro, con l’obiettivo di fornire il maggior numero di dati di interesse scientifico intrecciabili in un unico, grande tessuto informativo che arricchisce enormemente la storia dell’opera analizzata.
Al valore aggiunto della non invasivita degli strumenti adottati si unisce anche il fatto che tutte queste tecniche – se non si considera la TAC – prevedono la possibilità di evitare la movimentazione dell’opera d’arte dal suo luogo di custodia, il che ne tutela la conservazione e limita al minimo i rischi legati al trasporto o all’esposizione ad altri ambienti meno controllati.
ALCUNE OPERE RACCONTATE IN MOSTRA
Beato Angelico. Un arcobaleno sull’armadio del tesoro.
Beato Angelico Primo scomparto dell’Armadio degli Argenti 1450 c. Tempera su tavola 123 × 123 cm Firenze, Museo di San Marco
In mostra la riproduzione in scala 1:1 dell’opera Primo scomparto dell’Armadio degli Argenti del Beato Angelico è affiancata da una mappa in pseudo-colori: si tratta di una rappresentazione scientifica che mostra la distribuzione dei pigmenti usati da Beato Angelico per dipingere una delle ante dell’Armadio degli Argenti, il suo ultimo grande capolavoro.

Beato Angelico è uno dei maggiori pittori del Quattrocento italiano. La sua formazione come miniaturista gli ha permesso di sviluppare fin da subito una profonda conoscenza dei colori, delle loro mescolanze e relazioni. Una competenza che ha saputo mantenere e perfezionare lungo tutta la sua carriera, anche nelle sue opere di più grande formato.
Questa mappa, particolarmente utile per comprendere l’unicità del suo lavoro, ci rivela la ricchezza e la complessità della tavolozza usata dall’artista: la biacca per i bianchi, il vermiglione e la lacca per le tonalità rosse, gialli composti da piombo e stagno, il blu ottenuto dal prezioso lapislazzuli, e infine i verdi, in gran parte a base di rame, spesso miscelati con altri pigmenti.
La visualizzazione è stata ottenuta grazie a tecniche diagnostiche non invasive, che utilizzano radiazioni nell’ultravioletto, nel visibile e nell’infrarosso.
L’imaging multispettrale e l’analisi spettroscopica FORS e XRF permettono di identificare pigmenti che, a occhio nudo, appaiono molto simili.
Un esempio significativo si trova nella scena della Fuga in Egitto: qui le analisi hanno mostrato che Beato Angelico ha usato due diversi pigmenti rossi in aree molto vicine tra loro — il vermiglione per il manto del Bambino e la lacca rossa per la veste della Madonna.
Ma il dettaglio forse più sorprendente riguarda il colletto verde della Madonna.
Nonostante le sue dimensioni minime, è stato realizzato con una miscela complessa: verde a base di rame, unito al blu di lapislazzuli, alla biacca e al giallo di piombo e stagno. Una sfumatura di verde ben precisa, creata appositamente per questo piccolo particolare. Una scelta pittorica che potrebbe sfuggire ad uno sguardo veloce, ma non alla tecnologia.
Questi dettagli sono solo una parte della straordinaria ricchezza delle ante dipinte dall’Angelico per l’Armadio degli Argenti, un mobile prezioso, destinato a custodire oggetti votivi, realizzato intorno al 1450 per la Basilica della Santissima Annunziata di Firenze.
Beato Angelico riesce a unire, in questa opera, due aspetti chiave della pittura del suo tempo: da un lato, l’applicazione precisa delle nuove regole prospettiche e geometriche, dall’altro, una sensibilità cromatica eccezionale, ereditata dalla sua formazione da miniaturista, attenta alle sfumature, alle sovrapposizioni e alla materia pittorica. Ed è proprio in questo equilibrio che risiedono la forza e l’originalità del suo contributo all’arte del Quattrocento.
Piero del Pollaiolo e il suo Ritratto di Giovane Donna.
Piero del Pollaiolo Ritratto di Giovane Donna 1470-75 Tempera su tavola 45 × 32 cm Milano, Museo Poldi Pezzoli
Una giovane donna, un profilo perfetto, uno sfondo terso solcato da nuvole leggere.

Il Ritratto di giovane donna, realizzato da Piero del Pollaiolo tra il 1470 e il 1475, è uno dei capolavori più raffinati del Quattrocento. Nasce nella bottega fiorentina che Piero condivide con il fratello Antonio, una delle più versatili e innovative della Firenze del tempo.
Nel Quattrocento, il ritratto di profilo non è solo una scelta formale ma un ideale: esprime eleganza distaccata, bellezza immobile, quasi eterna. Ogni dettaglio è curato con straordinaria precisione: la complessa acconciatura intrecciata, il filo di perle che scende sulla fronte, la collana con un rubino grezzo sul petto, la manica in velluto bouclé. Un’immagine sospesa nel tempo, intatta nella sua bellezza.
Ma dietro questa apparente perfezione, si nasconde una storia complessa di conservazione.
Tra il 2024 e il 2025, il dipinto è stato sottoposto a un importante intervento conservativo visibile al pubblico, preceduto da una campagna di diagnostica per immagini tra le più avanzate mai condotte su un’opera antica.
Tra le tecniche impiegate, una TAC realizzata con tecnologie mediche adattate ai beni culturali ha permesso di esplorare l’interno della tavola di pioppo: un’unica asse, attraversata da gallerie di tarlo e da due traverse in legno inserite nel secondo dopoguerra, a pochi millimetri dallo strato pittorico.
Queste traverse, pensate per mantenere la tavola perfettamente piatta, con il tempo hanno generato forti tensioni nel legno e nella superficie dipinta, rendendo l’opera vulnerabile.
Oggi, un’impercettibile fenditura verticale attraversa il volto della giovane.
Una frattura che è stata stabilizzata grazie a un nuovo sistema flessibile, che consente alla tavola di adattarsi ai cambiamenti ambientali.
Nel recente intervento, gli scassi lasciati dalle vecchie traverse sono stati riempiti con tasselli in pioppo antico, e il sistema è stato sostituito con nuove traverse flessibili dotate di molle coniche, che assecondano i naturali movimenti del legno senza causare danni.
Èd è anche grazie a quest’intervento che il volto di questa giovane donna sfida il tempo e continua a offrirci la stessa idea di bellezza, cura e perfezione del passato.
Caravaggio e La Buona Ventura. I ripensamenti di un artista (o più di uno?).
Caravaggio La Buona Ventura post luglio 1597 Olio su tela 115 × 150 cm Roma, Musei Capitolini, Pinacoteca Capitolina – Archivio Fotografico dei Musei Capitolini
Una zingara, un giovane elegante, un gesto silenzioso.
La Buona Ventura, dipinta da Caravaggio dopo il luglio 1597, è una scena semplice solo in apparenza.
Lo sfondo è neutro, la luce morbida e naturale. Tutto si concentra su due figure e su ciò che accade tra le loro mani: lei legge la sorte, lui porge fiducioso la mano.
Ma, nel frattempo, con un sorriso complice, lei gli sfila l’anello dal dito. Questa piccola truffa, raccontata con sorprendente realismo, segna una svolta nel percorso di uno degli artisti più conosciuti al mondo.
Caravaggio, da poco arrivato a Roma, capisce che il mercato dell’arte sta aprendosi a nuovi temi, che si affiancano ai tradizionali soggetti tratti dalla storia sacra o dal mito. Inizia così a dipingere scene prese dal vero, che parlano di vita quotidiana.
Ma sotto l’immagine si nasconde un’altra storia.
Nel 2009, una campagna di indagini ha rivelato la presenza, sotto la superficie, di una Madonna con Bambino dormiente, ruotata di novanta gradi rispetto alla scena visibile.
La sua presenza dimostra che la tela è stata riutilizzata, forse da Caravaggio, forse da un altro artista. Questa figura è emersa grazie alla radiografia digitale e a complesse elaborazioni matematiche: i ricercatori hanno separato digitalmente i due strati pittorici, riuscendo a distinguere il dipinto sottostante da quello visibile.
Perché sostituire una Madonna con una scena di piccola furfanteria?
Non è solo una questione tecnica. È una scelta di campo, che dimostra la prontezza con cui Caravaggio interpreta il nuovo orientamento del gusto verso le scene di genere, i volti reali, i gesti quotidiani.
Il soggetto è tanto originale da colpire subito i collezionisti: Caravaggio ne dipinge almeno due versioni, una conservata oggi al Louvre, e questa a Roma, ai Musei Capitolini. La Buona Ventura è uno degli esempi più evidenti di questa svolta. Caravaggio compie una scelta precisa.
E con quella scelta, apre una nuova strada per la pittura.
ART FROM INSIDE. CAPOLAVORI SVELATI TRA ARTE E SCIENZA
Palazzo Reale, Milano dal 9 ottobre 2025 al 6 gennaio 2026
ingresso gratuito
a cura di Fondazione Bracco con la consulenza scientifica di Isabella Castiglioni e Stefano Zuffi
IMMAGINI “Art from Inside. Capolavori svelati tra arte e scienza”: tratte da CARTELLA STAMPA MOSTRA e ARCHIVIO LIGHT SIGN

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