In questa Venezia sempre nuova e sempre uguale a se stessa, vado a vedere la Biennale di Architettura che quest’anno sembra che sia un punto di riferimento a livello mondiale per tutti gli architetti e progettisti.
Si parla di sostenibilità sociale e ambientale, del recupero di aree variamente dismesse. I grattacieli e i big sono lontani, no, non ci sono per niente. Alejandro Aravena non si è orientato ai progetti ma alle idee. Ma questa è architettura? Per quanto questi “elementi “ rappresentino chiaramente ambienti e sistemi abitativi, per quanto mostrino oggetti che parlano di quotidianità, per quanto molti sono prevedibili e in parte improbabili, la Mostra si presenta con una propria identità molto omogenea ma anche molto ricca.
ARCHITETTI NON PROTAGONISTI
Mi muovo in ambienti che sembrano in via di allestimento. Ponteggi, scatoloni, piattaforme mobili, video accesi che non proiettano nulla, documentazione ben leggibile e altra incomprensibile : è questa la nuova estetica che incarna la contemporaneità?
Non afferro il linguaggio di alcune installazioni. Fotografo, prendo appunti, faccio schizzi, leggo didascalie, mi introduco nelle costruzioni che diventano io-parlanti.
Posso non capire?
Non trovo design, non trovo tecnologia, non trovo luce. Se ti occupi di codici dalla mattina alla sera non puoi buttare a mare tutti i riferimenti e muoverti ammirato nel capriccio di un architetto Cileno. Che ha scritto il suo bel decalogo sulla sua misura e l’ha trasmesso in tutto il mondo a chi non aspettava altro che tirar fuori vecchi schizzi che oggi, qui a Venezia, si animano e diventano fenomeni creativi. E si mettono in mostra attraverso angoli vivaci della più disperata delle situazioni di vita: come dire scene di turismo della miseria attrattiva.
UNA FINESTRA APERTA
Vado spesso a visitare mostre internazionali. Perché mi piace sbirciare nei nuovi spazi, rubare forme espressive, leggere l’illuminazione nella sua figurazione narrativa, mi attirano i rivestimenti delle pareti, mi affascina il vetro ( lo specchio meno) e la geometria della pianta espositiva, ammiro e detesto l’ordine e il disordine, la precisione e la cura dei dettagli.
Cosa ci faccio qui alla Biennale di Venezia?
Le installazioni – opere – progetti – assiemi – scenari – universi sono e saranno, fino a novembre, accompagnati da giudizi lusinghieri e critiche feroci. La libertà di espressione e di creazione sono parti integranti della scena architettonica , la qualità del progetto è un attributo secondario. Questo è il riflesso scritto, uno dei riflessi, della visita alla Biennale di Venezia. In altre parole mi sono trovato di fronte, in mezzo a dirla tutta, ad una rappresentazione con una regia creativa ma stanca, impalpabile, inafferrabile, con contenuti narrativi introversi. Mi è sembrato che gli attori – architetti o viceversa sappiano stilizzare, fare gran belli schizzi, ma non sappiano disegnare, pardon, progettare il vero.
( testo di oreste griotti – foto di cinzia ferrara)
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